Pubblicato da IL MATTINO di Napoli il 27.12.020 in l’INTERVENTO
Lo stadio, in quel di Piazzale Tecchio, è stato ri-intitolato a Diego Armando Maradona, il fuoriclasse tanto argentino di nascita quanto napoletano di adozione, con un’efficienza straordinaria purtroppo estranea alle altre cose della città.
Questa nuova denominazione sana un’antica ingiustizia. Infatti il complesso di Piazzale Tecchio, progetto dell’Architetto Carlo Cocchia, fu inaugurato, inutile dire con un incontro Napoli-Juventus, nel 1959 con il nome di “Stadio del Sole”.
Tale denominazione ricalcando la visione oleografia di Napoli, città del sole e del mare, si inseriva di fatto nella scia di altre denominazioni come “Stadio Vesuvio”, il primo stadio della storia calcistica del Napoli del 1930 o come la sua successiva denominazione “Stadio Partenopeo” del 1934.
Ma nel 1963 lo “Stadio del Sole”, su dolce “violenza pastorale” del Cardinale dell’epoca Alfonso Castaldo, venne inaspettatamente ri-intitolato “Stadio San Paolo” per fatto che Paolo di Tarso, secondo la tradizione cristiana, pare sia approdato nell’area flegrea nel 61 d. C. circa.
Al di là della circostanza storica la denominazione “Stadio San Paolo” poco o nulla richiamava e richiama né la tradizione partenopea laica né quella religiosa. Laicamente, infatti, i nomi di stadio del Sole, Vesuvio o Partenopeo sarebbero stati per così dire perfetti. Se poi proprio necessariamente bisognava ricorrere all’eponimo religioso meglio sicuramente sarebbe stato riferirsi al Santo patrono della città ovvero a San Gennaro. Ma non fu così, perché “manzonianamente” così va spesso il mondo.
La scomparsa del campione argentino ha rimesso, con metafora calcistica, il nome “al centro” del campo o del ragionamento, che dire si voglia, anche se deve ammettersi che mezzo secolo di storia calcistica, nel bene e nel male, si è svolta all’interno dello stadio denominato San Paolo di Fuorigrotta.
Nel tempo, tuttavia, va ricordato che ci sono stati numerosi tentativi di “scalzare” il nome San Paolo soprattutto con quello dell’ oriundo paraguagio Attila Sallustro indimenticabile centravanti degli anni ’30, biondo, soprannominato veltro d’oro, rivale dell’interista dell’epoca Peppe Meazza, e che riempì i giornali del tempo per il suo matrimonio con la popolare soubrette Lucy D’Albert. Ma questi tentativi non hanno mai avuto la forza deflagrante, eruttiva che, invece ha avuto la scomparsa del campione argentino, che era meglio di Pelé. Così plebiscitariamente si è avuta la forte richiesta che lo stadio, il “tempio”, l’arena delle sue indimenticabili gesta calcistiche fosse ri-nominato a suo nome. E così è stato.
Flebile, quasi formale, è stata la protesta del clero mentre più sottile e insidiosa quella così detta laica che, com’è tipico, usa a non scontentare nessuno, si è aggrappata ad una possibile doppia denominazione San Paolo-Maradona. Ma com’è possibile se, ancorché scherzosamente, Maradona si è sempre dichiarato di un livello più alto del possibile cointestatario?
La UEFA ha già ufficializzato il nuovo nome ed infatti l’ultimo incontro dalla fase a girone dell’omonima Coppa si è giocato appunto al “Diego Armando Maradona” con tanto di maglietta commemorativa. Questa in modo del tutto “provinciale” è stata e viene avvicinata a quella della nazionale Argentina e non, purtroppo a quella dell’ Internaples dalla cui fusione con il Naples, artefice il Presidente Giorgio Ascarelli, nacque nel 1926 il Napoli attuale.
Quasi per completare la paganizzazione dello stadio, fu San Paolo, si parla addirittura della possibile creazione di una statua del divino.
Siamo seri si organizzi, piuttosto, una Coppa Internazionale annuale fra le squadre in cui il grande campione ha militato: Argentinos Junior, Boca Juniors, Barcellona e Napoli. Sarà questo il modo migliore per ricordarlo nel mondo, nel tempo, nel suo Stadio.