Ma oltre i media, veramente c’è chi sia sinceramente interessato alla dichiarata conversione religiosa di Silvia Romano?
Non c’è vaghezza della sua iniziale intensità al credo cattolico. Nè si sa se quel suo credo abbia vacillato per circonvenzione, ivi compresa la sindrome di Stoccolma, per minacce o per libera scelta. In ogni caso nei fatti non ha dimostrato di aspirare a rientrare nel novero dei martiri cristiani.
Quindi la scelta di Silvia Romano resta nell’ambito delle libertà individuali e ad un possibile caso di indagine psicologica. A meno che non si pensi ad istruire un procedimento per apostasia, improbabile almeno dalle nostre parti.
Invece altri possono e devono essere gli oggetti di una possibile riflessione.
Innanzitutto il riscatto.
Se c’è stato è un vulnus giuridico di non poco momento. A un sequestro in Italia si risponde con il sequestro dei beni della famiglia del sequestrato. Per un sequestrato all’estero paga lo Stato. Potrebbe diventare una nuova strategia del sequestro.
La famiglia di Silvia Romano.
Al di la della maggiore età di Silvia Romano c’è da chiedersi se una famiglia debba e voglia esercitare su un figlio una naturale vigilanza. Se lo zio oggi promette di strapparle il passaporto se la Silvia decidesse di ritornare il Africa forse, direttamente o indirettamente, ci poteva pensare anche prima.
L’ONLUS.
Ovvero Lilian Sora nome di battaglia, o in codice che dir si voglia, “la Sora Lella”, da Falcineto Castracane, località di Fano, animatrice di “Africa Milele”. Tali attività sono sottoposte al controllo dello Stato in tutte le sue articolazioni o possono operare liberamente? In altri termini c’è una normativa si richiedono requisiti, una licenza. Ci sono controlli fiscali come per tutto in Italia? O aprire e gestire una ONLUS è più semplice di un bar?
Il governo.
Silvia Romano di Milano ma atterraggio a Ciampino Roma per lo show del capo del governo e del suo ministro degli esteri che si dice che reciprocamente si avessero nascosto la cosa.
L’assembramento.
Silvia Romano viene accolta da una comunità festante “mascherata” con mascherine, non distanziante ma assembrante, addirittura con abbracci e baci prolungatissimi dei familiari, e questo mentre un solitario bagnante viene multato su una spiaggia e ristoratori milanesi riuniti ma distanziati vengono multati per assembramento.
L’abito con cui sbarca.
Si tratta di un indumento islamico e ci può stare dopo anni di segregazione. Ma se è stato obiettato che tale abbigliamento potrebbe essere una sorta di segnale mediatico, malissimo hanno fatto i servizi e il governo a non imporre, almeno per lo sbarco, una “mise” neutra, più idonea tipo una tuta militare.
Queste riflessioni sono più significative rispetto al falso problema della conversione, sul se ci sia stata e come ci sia stata se c’è stata.